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I maestri spirituali del sufismo persiano sono esperti nell’analizzare le fasi che l’anima attraversa nella sua ricerca dell’Amato. Spesso si tratta di una relazione d’amore tra l’anima e l’Amato che essa cerca, così come noi cerchiamo l’origine o il senso della nostra vita, così come cerchiamo sulla terra il compagno che possa realizzarci. Per il credente, questo Amato è anche il Creatore in cui l’anima trova la sua beatitudine eterna.
Ma quante prove dobbiamo superare prima che questo amore sia più forte, prima che sia vittorioso? Il poema fornisce molti esempi di personaggi famosi che sono stati umiliati nella loro ricerca dell’Amato, nella loro ricerca della verità. Hanno ceduto alle loro debolezze, alle loro paure, alle loro mancanze. Hanno misurato questa umiliazione nella loro vita, eppure l’amore, come l’amicizia, può dimostrarsi fedele in ogni circostanza e sopravvivere alle prove più dure; può vincere il male con il perdono, la paura con la fiducia, la debolezza con la fedeltà di chi non abbandona l’amico quando le forze gli vengono meno. Gli esseri umani attraversano delle fasi, sempre alla ricerca del mistero della loro origine. Queste tappe variano per ogni individuo; non solo avranno un ordine diverso per ogni persona, ma saranno anche diverse in sé. Chi deve rinunciare alla ricchezza avrà un percorso diverso da chi deve superare la paura, ma tutti cercano la verità dell’amore infinito che li tiene in vita. Allo stesso modo, gli esseri umani non smettono mai di esprimere questa ricerca attraverso tante tradizioni, saggezze, religioni e culture diverse che rifletteranno sempre le aspirazioni più alte dell’uomo.
Anche Farîd ud-Dîn ‘Attâr, in un grande poema persiano, Mantiq ut-Tayr, il linguaggio degli uccelli, canta le fasi spirituali delle anime alla ricerca della loro origine. L’uccello è sempre stato un simbolo dello spirito o dell’anima che si libra verso le realtà celesti, che comunica con Dio, un ponte tra il divino e l’umano: si veda il bucero in Africa, l’uccello hamsa in India, le colombe e i pavoni nei sarcofagi e nelle stele paleocristiane. Nel Corano (Sura 27, 16) si dice che Dio insegnò al profeta Sulayman il linguaggio degli uccelli. In Persia, l’espressione “parlare la lingua degli uccelli” si riferisce anche alle espressioni misteriose dei mistici sufi.
Questa è la storia raccontata da ‘Attâr: mille uccelli partono alla ricerca del loro sovrano, chiamato Simorgh. Passeranno attraverso molte prove, ma solo trenta raggiungeranno la meta, dopo aver attraversato sette valli, essersi spogliati dei loro attaccamenti terreni ed essere saliti a Simorgh.
Queste sono le fasi finali di un progressivo svelamento di cui saranno protagonisti:
Arrivano alla Presenza dell’uccello chiamato Simorgh. Questa parola persiana può essere scomposta in due elementi: “Si” che significa trenta e “morgh” che significa uccello. Questo gioco di parole coglie tutto il mistero delle parole che possiamo attribuire alla divinità all’origine di ogni vita. Come possiamo noi creature dargli un nome? Possiamo dare un nome a un oggetto o a un animale le cui caratteristiche ci permettono di racchiuderlo in una definizione e di chiamarlo quando ne abbiamo bisogno. Ma Dio non è soggetto ai nostri ordini e non possiamo limitarlo a parole o definizioni. Ricordiamo il divieto biblico: “Non nominare il nome di Dio invano” e anche l’usanza di non chiamare le persone che rispettiamo con il loro nome di battesimo, ma con titoli di eccellenza. Quindi, per i trenta uccelli, il nome di Dio è quello a cui possono accedere attraverso la loro intelligenza, dalla nostra realtà umana.
Ecco le principali questioni sollevate da questo testo:
- Come si può preservare l’unicità di Dio? Egli è uno, non è il risultato di tutti gli esseri di questo mondo, eppure è profondamente unito a ciascuna delle sue creature perché è Lui che dà loro l’essere e l’esistenza.
- Non è accessibile all’uomo, perché è al di là di tutto ciò che possiamo immaginare di Lui, eppure ci chiama a sé e vuole farsi conoscere, rivelarsi.
- Dio è dunque uno, unico, ineffabile e inaccessibile. Eppure l’esperienza di molti mistici di ogni religione ci dice anche che questa realtà nella sua incomunicabilità, questa distanza, si accompagna anche all’esperienza della sua sollecitudine, della sua vicinanza, della sua Presenza nella parte più intima di noi. Come conciliare questi due aspetti, come affermare l’uno e l’altro allo stesso tempo?
- È pensabile, allora, che ciò che appare contraddittorio all’uomo possa sussistere contemporaneamente in Dio, e che questa contraddizione sia solo la conseguenza dei nostri limiti? Siamo infatti soggetti al tempo e allo spazio, e ciò che ci appare prima della realtà di Dio è seguito da ciò che ci viene rivelato dopo; ma in Lui il primo e il secondo sussistono allo stesso tempo.
Analizziamo ora ciò che ci dice il testo, a partire dal versetto 4257:
1° passo: sentirsi piccoli davanti al Creatore. La luce della Sua Presenza dissipa le nostre tenebre e ci purifica.
جان آن مرغان ز تشویر و حیا شد حیای محض و جان شد توتیا
چون شدند از کل کل پاک آن همه یافتند از نور حضرت جان همه
Le anime di questi uccelli hanno attraversato problemi e vergogna,
fu purificata e andò in fumo,
Quando furono così completamente purificati da ogni cosa,
trovarono tutti la vita attraverso la luce della Presenza.
Di fronte alla grandezza e all’immensità, ci troviamo molto piccoli e annichiliti, ma in questo troviamo la nostra condizione di creature e ci prepara a riconoscere la fonte della vita. Questa purificazione riduce l’anima di questi uccelli in fumo, ma un tipo particolare di fumo che viene chiamato “tutiyâ”: questa parola indica la condensazione del fumo che si raccoglie sulle pareti della fornace dopo la fusione di piombo e zinco; questa sostanza viene usata come rimedio per gli occhi. Ciò indica che questa purificazione prepara gli uccelli alla visione. Ci si può interrogare sulla parola “vergogna”, “hayâ”, che compare due volte per dirci che a questo punto non rimane altro che questa vergogna che ci purifica, che abbassandoci ci fa accedere alla visione dell’opera di Dio, che ci purifica. Questa parola potrebbe anche essere collegata alla parola vita. Il fatto di vergognarsi, di riconoscere i nostri peccati, è una purificazione della nostra vita, un velo che cade sulla nostra realtà. Questa vita viene rinnovata dalla luce della sua Presenza, che non ci lascia avviliti, ma ci solleva passo dopo passo verso di Lui. Questa parola Presenza, in persiano “hedhrat”, è usata anche come titolo d’onore per una persona a cui dedichiamo tutto il nostro rispetto. Ma la sua radice, in arabo “hadhar”, significa esserci, essere presente, ed è la Sua presenza che conferisce rispetto a coloro che Lo rappresentano, ai profeti.
2°stadio: il Creatore ci purifica da tutte le azioni e le omissioni malvagie. Questo stato provoca un iniziale stupore: l’uomo si vede creato di nuovo, senza i suoi peccati.
باز از سر بندهٔ نو جان شدند باز از نوعی دگر حیران شدند
کرده و ناکردهٔ دیرینه شان پاک گشت و محو گشت از سینهشان
Sono stati ricreati, un’anima nuova per quei servi.
E si stupirono di questa novità
Le loro azioni e omissioni precedenti
furono purificati e cancellati dai loro petti.
Avendo percepito l’immensa misericordia del Creatore, furono liberati dal peso delle loro colpe. Egli non è lì per opprimerli, per schiacciarli, ma per condurli a Lui. Lo stupore, “heyrân”, è uno stato mistico di fronte alla grandezza e alla maestà; una contemplazione che ci fa vedere la nostra condizione creaturale, “bandeh” dice il testo persiano, e che significa servo, servo di Dio, ci dice la nostra condizione, ma ci trasporta anche verso Colui che vogliamo servire, al quale vogliamo rendere grazie.
3rdtappa: contemplazione dell’opera di Dio nel mondo.
آفتاب قربت از پیشان بتافت جمله را از پرتو آن جان بتافت
هم ز عکس روی سیمرغ جهان چهرهٔ سیمرغ دیدند از جهان
Il sole della vicinanza risplendeva su tutti con la sua luce primordiale
illuminando le loro anime con il suo raggio
Gli uni e gli altri, dal riflesso del volto di questo Simorgh del mondo
videro il riflesso del Simorgh di allora.
Il sole che splende su di loro è il sole della Prossimità, lo stadio mistico di coloro che sono vicini a questa fonte di luce. Perché è Lui che è vicino a ciascuno di noi, che risplende sui giusti e sugli ingiusti e che non smette mai di chiamare a sé tutti gli uomini. La sua luce brilla da sempre, da prima, in persiano “pyshân” che significa “ciò che era prima di tutte le cose”, o “payshân” che significa “su di loro”, per sottolineare la sollecitudine del Creatore nel scendere su di loro. È da questo raggio che traiamo la vita. È dal suo riflesso nel mondo che lo vediamo o lo intravediamo, quando la luce del mondo ci parla di quella luce, la luce dei tempi immemorabili il cui raggio ha dato vita al mondo. È l’infinito che ci precede “azal”, come si dice in arabo.
4°stadio: i 30 uccelli vedono il loro riflesso nel Simorgh, si riconoscono da esso. Secondo stupore: si scoprono come sono nello sguardo del Creatore.
چون نگه کردند آن سی مرغ زود بیشک این سی مرغ آن سیمرغ بود
در تحیر جمله سرگردان شدند باز از نوعی دگر حیران شدند
Quando improvvisamente guardarono questi trenta uccelli
senza dubbio quei trenta uccelli erano lo stesso Simorgh
Tutti rimasero sbalorditi
Ancora una volta erano stupiti da questa novità
I loro sguardi andavano dall’uno all’altro, il Simorgh, il cui nome significa “trenta uccelli”, rifletteva la loro stessa immagine e loro erano sbalorditi. Si trattava di un nuovo stadio, “no’ey digar”, di stupore: non si stupivano più della nuova vita che avevano ricevuto, una volta purificati, ma si stupivano, “dar tahayyur”, contemplando lo sguardo del Simorgh, nel quale vedevano se stessi. Questo è un passo importante, vedersi negli occhi e attraverso gli occhi di colui che ci ha dato la vita, in uno splendore che solo lui può vedere, perché spesso i nostri occhi vedono solo le nostre miserie e imperfezioni e quando ci rivolgiamo agli altri vediamo i loro difetti. Ma qui lo sguardo del Creatore si rivela a loro e questo provoca stupore.
5ª tappa: scoperta della presenza di Dio in noi e di noi in Lui. Egli vive in noi ed è da Lui che abbiamo l’esistenza e l’essere.
خویش را دیدند سیمرغ تمام بود خود سیمرغ سی مرغ مدام
چون سوی سیمرغ کردندی نگاه بود این سیمرغ این کین جایگاه
ور بسوی خویش کردندی نظر بود این سیمرغ ایشان آن دگر
ور نظر در هر دو کردندی بهم هر دو یک سیمرغ بودی بیش و کم
بود این یک آن و آن یک بود این در همه عالم کسی نشنود این
آن همه غرق تحیر ماندند بی تفکر وز تفکر ماندند
Guardavano se stessi, erano la pienezza del Simorgh.
Lo stesso Simorgh non ha mai smesso di essere trenta uccelli.
Quando rivolgevano lo sguardo al Simorgh
Questo Simorgh era precisamente in questo stesso luogo
E se rivolgevano lo sguardo a se stessi
Quel Simorgh era loro, pur essendo altro
E se guardavano entrambi insieme
entrambi erano più o meno l’essere di un unico Simorgh
Questo era quello e quello era quello
In tutto il mondo nessuno sentiva questo
Rimasero tutti immersi nello stupore
come un pensiero senza pensiero
Questi versi esprimono l’indicibile, l’ineffabilità del mistero dell’unione che ha perso tanti mistici. Qui si esprime un nuovo stadio. Innanzitutto, l’essere umano si è reso conto di quanto sia piccolo rispetto al Creatore. Il senso schiacciante del suo essere infinitesimale rispetto alla grandezza dell’anima di Colui che gli dà la vita gli rivela tutte le sue impurità e i suoi difetti. Il Creatore stesso le purifica, le disperde e lo attira verso di sé, elevandolo. L’uomo è trasportato verso di Lui e dimentica se stesso. Poi si arriva alla fase in cui percepisce se stesso e il suo Creatore. Vede se stesso in Lui, vede come il Creatore lo guarda e lo conosce. Vede gli altri in e attraverso lo sguardo del Creatore; vede se stesso e li vede nella bellezza conferita loro dallo Spirito donato dal Creatore. Questa esperienza di vedere Dio è condivisa da molti mistici di diverse tradizioni. Nella tradizione cristiana, l’apostolo San Giovanni ci dice nella sua prima lettera, 3, 2: “Carissimi, noi siamo già figli di Dio, ma ciò che saremo non è ancora stato manifestato. Sappiamo che quando sarà manifestato, saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è”. E San Paolo, nella sua prima epistola ai Corinzi 13, 12: “Per ora vediamo confusamente, come in uno specchio; in quel giorno vedremo faccia a faccia. Per ora la mia conoscenza è parziale; in quel giorno conoscerò perfettamente, come sono stato conosciuto”. È un momento di stupore perché lo vediamo e lo sentiamo così vicino a noi, siamo in Lui perché il nostro essere viene da Lui e partecipa al Suo (nesso di Avicenna: l’intelligenza percepisce il suo essere come proveniente dal Creatore, percezione della sua origine) È difficile in questo momento esprimere la sensazione di unità e di distinzione allo stesso tempo. Questo ha portato alcuni mistici a usare espressioni che sono state condannate dai loro contemporanei, come nel caso di Mansur Al-Hallâj, un mistico persiano che fu messo a morte a Baghdad nel 922 per aver detto: “Io sono il vero”, cioè colui che sussiste in se stesso, il Creatore. Tuttavia, Farîd ud-Dîn ‘Attâr, che ha raccontato e interpretato lui stesso l’ambigua espressione di Al-Hallâj, si preoccupa di far sì che il nostro linguaggio umano possa esprimere due realtà apparentemente contraddittorie e simultanee allo stesso tempo. Noi siamo Lui ed Egli è noi, perché tutto il nostro essere è vivificato da Lui e in Lui. La percezione di questa realtà è al di là della nostra comprensione, e questo è ciò che ci ricordano ripetutamente i termini “tahayyur” e “hayrân”, che indicano lo stupore, l’incertezza, la sensazione di essere persi di fronte a un mistero troppo grande.
Sesto stadio: scoperta dell’unità tra noi e tra noi e il Simorgh. Terzo stupore: dall’essere-non-essere si passa all’essere di Dio che riempie tutto.
چون ندانستند هیچ از هیچ حال بی زفان کردند از آن حضرت سؤال
کشف این سر قوی در خواستند حل مای و توی درخواستند
Poiché non capivano nulla di nessuno stato,
senza linguaggio, esprimevano una domanda a quella Presenza.
desideravano lo svelamento di questo mistero
cercavano la soluzione del “noi” e del “voi”.
Vale la pena sottolineare qui l’uso da parte di Farîd ud-Dîn ‘Attâr di un termine che assume un significato molto particolare e fondamentale nell’esperienza spirituale. Si tratta della parola “hâl”, che letteralmente significa stato e che indica anche lo stato spirituale che stiamo attraversando, lo stadio spirituale che è nostro. In questo caso, i trenta uccelli hanno attraversato molti stadi, di cui nessuno aveva la chiave. La comprensione e il pensiero sono persi.
7° stadio: vedere in Dio l’unità tra la nostra anima e il nostro corpo. Ci vediamo in Dio come in uno specchio e ci conosciamo come Lui ci conosce.
بی زفان آمد از آن حضرت خطاب کاینهست این حضرت چون آفتاب
هر که آید خویشتن بیند درو جان و تن هم جان و تن بیند درو
Senza linguaggio è venuto da questa Presenza un discorso
Come uno specchio questa Presenza è come un sole
chi si avvicina a lui vede se stesso in lui
anima e corpo insieme anima e corpo vede in lui
Qui Simorgh è chiamato con il suo titolo di maestà, la Presenza. Questa Presenza rivela la nostra stessa presenza a noi che siamo davanti a lui, ci percepiamo, come in uno specchio. Il suo sguardo ci rivela ciò che siamo realmente, il nostro corpo e anche la nostra anima, il mistero interiore che abita in noi e di cui il nostro corpo è l’immagine. Si annuncia qui una profonda unità, quella tra l’anima e il corpo, inseparabili, l’uno riflesso dell’altro. La nostra esperienza interiore e spirituale si riflette anche nell’aspetto del nostro corpo e gli dà forma. Questo ricorda anche filosofi antichi come Aristotele, che sostenevano che l’anima è ciò che dà forma al corpo. È un’unità inscindibile, e questa è una verità che si rivela anche agli uccelli.
8° stadio: ci vediamo in Lui e percepiamo che la nostra esistenza deriva da Lui. Non possiamo raggiungerlo, non possiamo vederlo da soli.
چون شما سی مرغ اینجا آمدید سی درین آینه پیدا آمدید
گر چل و پنجاه مرغ آید باز پردهای از خویش بگشاید باز
گرچه بسیاری به سر گردیدهاید خویش را بینید و خود را دیدهاید
هیچ کس را دیده بر ما کی رسد چشم موری بر ثریا کی رسد
Da quando siete venuti qui, trenta uccelli
trenta diventano visibili in questo specchio
se venissero altri quaranta o cinquanta uccelli
aprireste il velo su voi stessi.
Anche se avete vagato a lungo
vi state guardando e vi siete visti.
Per nessuno la vista ci ha raggiunto
come potrebbe l’occhio della formica raggiungere le Pleiadi?
Qui, il massimo sforzo della creatura, il lungo peregrinare degli uccelli, li ha portati al limite estremo che potevano raggiungere, ma qui c’è la loro impossibilità di raggiungere, con le loro sole forze, il mistero dell’origine della loro vita. Questa è anche la verità che viene loro rivelata sulla condizione della creatura rispetto al Creatore. Percepiscono lo sguardo benevolo di Colui che li porta all’esistenza, si percepiscono in Lui e si percepiscono come se avessero in mano la loro esistenza, il loro corpo e la loro anima, il mistero della loro creazione, da Lui. Vedendo se stessi, percepiscono il loro vero sé. È con questo corpo e questa anima che sono venuti a Lui, che sono arrivati alla Sua Presenza. L’anima ha infuso nel corpo il coraggio, la volontà, l’aspirazione a raggiungere la fonte della vita; ha fatto sì che il corpo corresse tutti i rischi di perdersi, di perdere la propria vita. Cercare il Creatore era più importante della loro stessa vita, valeva la pena di rischiare. Eppure ora devono rendersi conto che Egli è al di sopra di loro, che non possono raggiungerlo, che non è alla loro portata.
9° passo: le nostre azioni vengono da Lui e sono in Lui.
دیده موری که سندان برگرفت پشهٔ پیلی به دندان برگرفت
هرچ دانستی، چو دیدی آن نبود و آنچ گفتی و شنیدی، آن نبود
این همه وادی که از پس کردهاید وین همه مردی که هر کس کردهاید
جمله در افعال مایی رفتهاید وادی ذات صفت را خفتهاید
Una formica è stata vista sollevare un’incudine?
Un moscerino sollevare un elefante con i denti?
Tutto ciò che sapevate non era come quello che vedevate
e ciò che dicevi e sentivi non era ciò che vedevi.
Tutte le valli che avete attraversato
e tutte le azioni valorose che ciascuno di voi ha compiuto
tutte le avete attraversate compiendo le azioni del nostro essere
e per quanto riguarda la valle dell’essenza, vi siete addormentati nel suo attributo.
Qui viene rivelato loro che su questo sentiero non avrebbero potuto progredire e avanzare verso la Presenza del Creatore se Egli non l’avesse reso possibile. È Lui che eleva la nostra comprensione verso di Lui. La eleva attraverso ciò che possiamo percepire di Lui nelle immagini di questo mondo, nella realtà che porta la sua impronta. Noi percepiamo gli attributi della sua essenza, cioè le caratteristiche che ci parlano di Lui dalla nostra esperienza umana, ma Lui va oltre. La nostra generosità, il nostro coraggio e il nostro amore sono a sua immagine e somiglianza, ci parlano di lui, ma la sua generosità, il suo coraggio e il suo amore vanno ben oltre i nostri. Ci avviciniamo a Lui per analogia, ma la sua essenza rimane fuori dalla nostra portata. Siamo in questo mondo visibile come un dormiente che non vede la realtà di ciò che lo circonda eppure è in questa realtà, ma vede solo ciò che la sua mente può fornire come rappresentazione. Ma in questo è condotto dal suo Creatore alla Sua Presenza; è Lui che, attraverso tutte queste realtà e immagini del mondo, lo conduce per analogia a Lui, elevandolo. Ma noi non possiamo aprire gli occhi sulla Sua essenza; sarà Lui a formare le immagini che ci aiuteranno a vederlo, come in un sogno, addormentato nei suoi attributi.
10° passo: l’essenza è al di là del Simorgh. Essi si sono distaccati dalle loro esperienze sensoriali. Quarto stupore: trasportati in Lui, non percepiscono più il mondo esterno. Si ritrovano in Lui.
چون شما سی مرغ حیران ماندهاید بیدل و بیصبر و بیجان ماندهاید
ما به سیمرغی بسی اولیتریم زانک سیمرغ حقیقی گوهریم
محو ما گردید در صد عز و ناز تا به ما در خویش را یابید باز
Quando voi, trenta uccelli, siete rimasti smarriti nello stupore
siete rimasti senza cuore, senza pazienza, senza anima
Siamo molto più avanti del Simorgh
poiché siamo l’essenza del vero Simorgh
cancellatevi in noi in cento onori e preoccupazioni
finché in noi non troverete voi stessi.
La voce senza lingua della Presenza continua a parlare loro, come segue: “Davanti a me, con stupore, vi siete staccati dalle vostre percezioni sensoriali, dal vostro cuore, dalla vostra pazienza, dalla vostra anima. In relazione all’immagine del Simorgh che avete percepito, andate a guardare oltre, perché noi siamo l’essenza di questa immagine. Rinunciate a tutte le vostre glorie, rinunciate alla percezione di voi stessi e allora vi troverete in me. Troverai in me cento onori e attenzioni, fidati di me”. In altre parole, ti farò percepire per quello che sono, creerò questa percezione di me in te, quando ti abbandonerai a me. Vedrai quanto mi preoccupo per te.
11° stadio: la perdita di autoconsapevolezza del fana’.
تا که میرفتند و میگفت این سخن چون رسیدند و نه سر ماند و نه بن
تا که میرفتند و میگفت این سخن چون رسیدند و نه سر ماند و نه بن
تا که میرفتند و میگفت این سخن چون رسیدند و نه سر ماند و نه بن
Possono finalmente essere riempiti, completamente trasportati in Lui. Le parole non possono più esprimere questa percezione in cui non si procede più per deduzione, non si avanza più per ragionamento, per volontà, per azioni valorose e generose, per amore. Tutto questo ci ha portato a Lui, alla soglia. Ora Lui è lì, senza prima e senza dopo. Contempliamo ciò che è senza veli, non abbiamo più bisogno di andare a Lui attraverso le nostre immagini, la sua Presenza ci riempie.
12° stadio: in questa esperienza non percepiamo più noi stessi. Come El-Hallâj, siamo completamente assorbiti da Lui. Egli parla dentro di noi e noi sentiamo solo Lui al di là delle parole.
گفت چون در آتش افروخته گشت آن حلاج کلی سوخته
عاشقی آمد مگر چوبی بدست بر سر آن طشت خاکستر نشست
پس زفان بگشاد هم چون آتشی باز میشورید خاکستر خوشی
وانگهی میگفت برگوید راست کانک خوش میزد انا الحق او کجاست
Si dice che quando fu incendiato dal fuoco
Hallâj fosse interamente consumato
e che un amante venne con un bastone in mano e si sedette alla testa di questo
e si sedette alla testa di questo mucchio di cenere
poi liberò la sua lingua, che era anch’essa come il fuoco
ancora una volta la cenere si animò di felicità
e quando questo accadde disse: “Ditemi bene,
colui che ha giustamente pronunciato: ‘Io sono il Vero’, dov’è?”.
Qui Farîd ud-Dîn ‘Attâr introduce il caso del mistico Mansour El-Hallâj, e i versi che seguono intendono spiegare che non possiamo raggiungere questa unione totale, questo completo abbandono di sé prima della nostra morte corporea, che è il momento in cui la nostra unione con Dio è completata, ma questa fase finale è interamente nelle mani del Creatore che ci permetterà di contemplarlo. El-Hallâj subì ogni tipo di tormento, che lo portò alla morte a Baghdâd nel 922, per aver detto “Io sono il Vero”. La verità è un attributo di Dio, quindi questa affermazione equivaleva a dire “Io sono Dio”, motivo per cui fu condannato. Molti altri mistici, tra cui Ruzbehân Baqlî (un mistico sufi persiano del XII secolo) e lo stesso Farîd ud-Dîn ‘Attâr, hanno scritto su El Hallâj con l’obiettivo di fornire una spiegazione teologica accettabile alla sua affermazione: egli sperimentò una tale unione con Dio che non era più lui a parlare, ma Dio stesso che si esprimeva attraverso di lui. Va anche detto che un certo ramo del sufismo a quel tempo era chiamato “malamatî”, cioè cercava la colpa. In effetti, alcuni mistici, lungi dal cercare la fama e la stima della gente, cercavano il biasimo, che avrebbe preservato la loro umiltà, e alcuni si spacciavano addirittura per pazzi. Ma vediamo come ‘Attâr spiega questa affermazione di El-Hallâj (collegamento con l’hadith 38 di An-Nawawî: “… E quando lo amo, sono il suo udito con cui ascolta, la sua vista con cui vede, la sua mano con cui afferra e il suo piede con cui cammina. Riportato da Al-Bukhârî)
13° passo: Siamo chiamati ad abbandonare l’ego che ci limita e ci impedisce di accoglierLo. Il desiderio di ricongiungersi alla Sua origine.
آنچ گفتی آنچ بشنیدی همه وانچ دانستی و میدیی همه
آن همه جز اول افسانه نیست محو شو چون جایت این ویرانه نیست
اصل باید، اصل مستغنی و پاک گر بود فرع و اگر نبود چه باک
Tutto ciò che hai detto, tutto ciò che hai sentito
e tutto ciò che hai capito e visto
Tutto questo è solo l’inizio della storia
cancellati perché questa rovina non è il tuo posto
Hai bisogno dell’origine, un’origine che sia autosufficiente e pura
Se ciò che ne deriva è o non è, che paura c’è?
Questo è il limite estremo delle nostre parole, delle nostre parole umane: non possono raggiungere la dimensione di Dio, dove non c’è né prima né dopo, né qui né là. Egli non può essere contenuto né nello spazio, né nel tempo, né nel nostro linguaggio, che si esprime nel tempo e si inscrive nello spazio. Solo il passaggio da questa vita all’altra permetterà di abbandonare le nostre espressioni imperfette, il nostro linguaggio.
Non possiamo raggiungere l’origine in questa vita. Ciò è possibile solo attraverso la morte o attraverso l’opera di Dio.
هست خورشید حقیقی بر دوام گونه ذرهمان نه سایه والسلام
Il vero sole è nell’eternità,
nessun tipo di atomo, né di ombra, e questo è tutto.
Nulla di materiale sussiste nella luce divina, nemmeno l’ombra, come il suono delle nostre parole che passa nel tempo? Stiamo andando verso l’ineffabile, di cui la nostra esperienza umana non può rendere conto, se non “come se brancolasse nel buio”, come disse San Tommaso d’Aquino nel XIII secolo in Occidente. L’ultima parola è “salâm”, pace, che si usa anche per salutarsi, per dirsi addio, e che probabilmente qui come altrove nel poema allude alla pace che ci sarà rivelata oltre o dopo la nostra esperienza terrena. “Wa as-salâm”, letteralmente “e pace” è anche un’espressione comune per esprimere che ciò che abbiamo appena detto è la verità ultima, non possiamo andare oltre, diremmo in francese “et c’est tout”.
14° passo: Dio ci chiama a sé. Fana’ non definitivo, accesso temporaneo al baqâ’ da parte degli uccelli.
چون برآمد صد هزاران قرن بیش قرنهای بی زمان ه پس نه پیش
بعد از آن مرغان فانی را بناز بیفنای کل به خود دادند باز
چون همه بی خویش با خویش آمدند در بقا بعد از فنا پیش آمدند
Quando furono passati centomila secoli
secoli senza tempo, senza dopo e senza prima
dopo che questi uccelli avevano sperimentato l’annientamento
senza tuttavia subire l’annientamento totale, furono restituiti a se stessi.
Tutti così avanzarono con se stessi e senza se stessi
nell’eternità dopo l’annientamento, avanzavano.
Come spiegare l’estasi di questi uccelli, che si muovono verso un’eternità fuori dal tempo, che si allontanano da se stessi e che tuttavia, per una grazia speciale, possono ancora tornare a se stessi dopo aver intravisto cosa significa uscire per un istante dalla nostra percezione temporale? È come se centomila secoli fossero passati in un istante. Questo ricorda le parole stesse della Bibbia, che ci dice che “mille anni sono come ieri”, o l’esperienza di San Paolo nella II Lettera ai Corinzi 12, 3-4: “So che quest’uomo in questo stato – è nel suo corpo, è senza il suo corpo? Non lo so, lo sa Dio – è stato portato in paradiso e ha udito parole ineffabili, che non spetta all’uomo pronunciare”. Queste parole non rientrano nel nostro linguaggio, perché la realtà contemplata non può rientrare nei limiti del nostro mondo. Questo vale anche per il Nome di Dio nella Bibbia. (link)
15° stadio: il baqâ’. È la realtà dell’eterna Presenza di Dio, che è fuori dal tempo, né giovane né vecchia, fuori dallo spazio, fuori dalla vista. Ineffabile, al di là di ogni spiegazione. Come possiamo rendere conto di questa esperienza?
نیست هرگز، گر نوست و گر کهن زان فنا و زان بقا کس را سخ
هم چنان کو دور دورست از نظر شرح این دورست از شرح و خبر
Non c’è tempo, vecchio o nuovo, mai
in cui qualcuno possa pronunciare una parola di questo annientamento e di questa permanenza.
Proprio come Lui, la sua lontananza è lontana dalla visione,
la spiegazione di questa lontananza è lontana da qualsiasi commento o nozione.
È fuori dal tempo, fuori dallo spazio, nulla può avvicinarsi ad essa, le parole non possono raggiungerla.
È possibile spiegarlo attraverso un’allegoria? Bisognerebbe scrivere un nuovo libro.
لیکن از راه مثال اصحابنا شرح جستند از بقا بعد الفنا
آن کجا اینجا توان پرداختن نو کتابی باید آن را ساختن
Ma i nostri amici, attraverso l’allegoria,
cercano una spiegazione della permanenza dopo l’annientamento.
Come spiegare questo al di là di
un nuovo libro sarebbe necessario fare per questo.
I termini “fana’” (annientamento) e “baqâ” (permanenza) ricorrono qui. Sono due parole chiave del sufismo. La prima si riferisce allo stadio spirituale in cui scompare ogni traccia dell’io, il momento in cui non si distingue più tra l’io e il tu, quando l’esperienza dell’unione ci trasporta così profondamente nell’amato che non vediamo più noi stessi, l’io scompare. È anche un lungo cammino e una scuola pratica di obbedienza in cui il discepolo impara a rinunciare gradualmente alla propria volontà. Rinunciamo alla nostra volontà, per permettere all’altro di rivelarsi interamente, non secondo le nostre immaginazioni o i nostri desideri, ma secondo ciò che è. L’espressione della volontà dell’altro contrasta con ciò che potremmo immaginare di lui. Questo lo ritroviamo in ogni viaggio alla scoperta della trascendenza. La parola “permanenza”, baqâ, indica ciò che rimane per sempre, indipendente dalle contingenze, una realtà che non conosce cambiamenti. Anche il profeta Isaia proclama in 40,8: “L’erba appassisce e il fiore svanisce, ma la parola del nostro Dio rimane per sempre”. È a questa realtà, a questo riposo che l’uomo tende. Il libro che ne desse conto dovrebbe essere di tipo nuovo, perché non possiamo più cercare l’allegoria, le realtà di questo mondo non sono più in grado di parlarci di ciò che è al di là di questo mondo.
Come possiamo accedere a ciò che permane in modo permanente, il baqâ’, la Presenza di Dio, finché siamo in ciò che esiste e in ciò che non esiste?
زانک اسرار البقا بعد الفنا آن شناسد کو بود آنرا سزا
تا تو هستی در وجود و در عدم کی توانی زد درین منزل قدم
Poiché i segreti della permanenza dopo l’annientamento
li conosce chi è stato tra i meritevoli.
Finché non sarete in ciò che esiste e in ciò che non è
quando potrete avanzare verso questa dimora?
Un altro termine fondamentale usato dai maestri del sufismo è “manzel”, la dimora, la sosta dove il pellegrino scende, la tappa. Molti libri descrivono le tappe della vita spirituale, il cui ordine varia da persona a persona, ma Dio sa come farci avanzare verso di Lui, le qualità che ancora mancano al nostro spirito affinché il nostro amore sia grande come il Suo amore per noi. Le tappe spirituali di Shaykh Abu Sa’yd abu al-khayr (link) sono famose nel mondo persiano.
È in questa vita che dobbiamo cercare l’origine, preparare la strada, dopo la morte è troppo tardi.
چون نه این ماند نه آن در ره ترا خواب چون میآید ای ابله ترا
در نگر تا اول و آخر چه بود گر به آخر دانی این آخر چه سود
Finché né questo né quello ostacoleranno più il tuo cammino
come potrà venire a te il sonno, o stolto?
Guarda ciò che è stato fino all’inizio e fino alla fine
se lo conosci solo alla fine, a cosa servirà la fine?
L’essere assoluto del Creatore è al di là delle nostre categorie, classificazioni e percezioni. Anche le nozioni di essere e non essere non si trovano in Lui. Non dobbiamo addormentarci prima di aver sondato la realtà eterna; scoprirla al momento della morte non servirà a nulla, non cambierà la nostra vita, è prima che dobbiamo risvegliarci (link Kabir).
La Provvidenza stessa ci guida in questo cammino.
1: la chiamata, l’aspirazione.
نطفهٔ پرورده در صد عز و ناز تا شده هم عاقل و هم کار ساز
کرده او را واقف اسرار خویش داده او را معرفت در کار خویش
Un embrione che Egli ha allevato con cento onori e attenzioni
finché non divenne capace di comprendere e di agire
L’ha istruito nei suoi segreti
Gli ha dato la conoscenza della Sua azione
Il destino dell’uomo, verso il quale il Creatore mostra mille riguardi, lo coccola e lo conduce a sé, alla conoscenza dei segreti dell’opera divina.
2: l’umiliazione, la percezione della nostra natura e della sua incommensurabilità con il suo destino.
بعد از آنش محو کرده محو کل زان همه عزت درافکنده به ذل
باز گردانیده او را خاک راه باز کرده فانی او را چندگاه
Dopo tutto quello che ha cancellato, ha cancellato tutto.
Da tutti quegli onori lo ha abbassato
Lo ha fatto tornare alla polvere del cammino
molte volte lo ha distrutto
Come è possibile che Dio prima innalzi e poi abbassi?
3: Solo nell’abbassamento possiamo percepire la grandezza di ciò che è destinato a noi e già dato.
پس میان این فنا صد گونه راز گفته بی او، لیک با او گفته باز
بعد از آن او را بقای داده کل عین عزت کرده بر وی عین ذل
Poi, in mezzo a questo annichilimento di cento tipi di segreti
Egli le parlò senza di Lui, ma per mezzo di Lui le fu detto di nuovo
dopo che fu così per lui, Colui che rimane in eterno gli diede ogni cosa
Colui che è l’elevazione stessa ha prodotto in lui l’abbattimento stesso.
Il Creatore plasma questo essere, che non sarebbe altro che una goccia all’origine dell’embrione, che non sarebbe nulla davanti a Dio. Lo innalza ai segreti di Dio, ma questi non sarebbero accessibili a lui se non apprezzasse la sua bassezza, se non apprezzasse la misura della misericordia e della sollecitudine di Dio nei suoi confronti, che è la vera conoscenza di Dio, il Creatore.
4: Dobbiamo riconoscere ciò che ci è stato dato e che è già stato posto dentro di noi. La separazione, il rifiuto dell’Amato, ci aiuta a scoprire ciò di cui siamo stati privati quando la Presenza si è allontanata da noi.
تو چه دانی تا چه داری پیش تو با خود آی آخر فرواندیش تو
تا نگردد جان تو مردود شاه کی شوی مقبول شاه آن جایگاه
Tu, cosa sai di ciò che possiedi vicino a te?
Torna finalmente a te stesso, piccolo spirito
finché la tua anima non sarà respinta dal re
quando sarai accettato dal re, in quel luogo lì
Dobbiamo scoprire l’entità del dono che abbiamo ricevuto alla creazione, quale spirito ci abita e ci dà vita, quello del Creatore stesso. È scoprendo la piccolezza della sua natura che diventa evidente la grandezza dello spirito che lo abita. Quando il re, il Creatore, ci respinge, non possiamo misurare la grandezza della sua dimora, il privilegio di essere alla sua corte (link: l’esperienza jafâ’ della separazione. Nella poesia araba e nel Leyli Majnoun di Nezâmî).
Articolazione di fanâ’ e baqâ, annientamento e permanenza, abbattimento ed esaltazione, elevazione (‘ezzat).
تا نیابی در فنا کم کاستی در بقا هرگز نبینی راستی
اول اندازد بخواری در رهت باز برگیرد به عزت ناگهت
Finché non troverete nell’annientamento la piccolezza del vostro essere
non vedrete mai la verità nella permanenza
Prima vi getta sul sentiero della bassezza
Improvvisamente ti restituisce l’onore
Quando non possiamo più contare sulle nostre forze, sulle nostre capacità o sulla nostra intelligenza, quando non possiamo fare altro che affidarci a Lui, è allora che ci rendiamo conto di quanto sia grande la sua misericordia. Anche racconti africani (link racconto africano, Hamadou Hampaté Bâ e “nella tua debolezza mostrerò la mia grandezza” San Paolo)
Difficoltà ad affermare il sé e il tu allo stesso tempo.
نیست شو تا هستیت از پی رسد تا تو هستی، هست در تو کی رسد
تا نگردی محو خواری فنا کی رسد اثبات از عز بقا
Sii ciò che non è, affinché il tuo essere sia ristabilito
finché sei, colui che è, come potrebbe venire da te?
finché non sarai cancellato dall’umiliazione dell’annichilimento
come potrebbe arrivare la stabilità della gloria della permanenza?